giovedì 20 dicembre 2018
SANT'ANTIMO E NAPOLI NORD NEWS “Sappiamo chi sono i tuoi familiari….”, così la camorra di Sant’Antimo e i Casalesi minacciavano le vittime
INSERITO DA ANGELINA CECERE C’è un legame molto stretto tra i Casalesi e la camorra di Sant’Antimo. Questo quanto emerge dall’inchiesta di ieri che ha portato all’arresto di 7 persone e a mettere sotto indagine 20 persone. In manette sono finiti il broker Fabio Gaiatto, e il napoletano Gennaro Celentano, Mario detto Mariano Curtiello e Domenico Esposito, di Sant’Antimo, Walter Borriello , Luciano Cardone, Francesco Salvatore e Paolo Iozzino. Figura centrale dell’inchiesta è Gaiatto, broker del Nord che ha fatto una serie di debiti e che si sarebbe avvalso della forza della camorra di Sant’Antimo per bloccare i suoi creditori. Alcune delle persone fermate sono vicine all’ex latitante Filippo Ronga, arrestato dai carabinieri lo scorso 13 gennaio a Formia. Del suo gruppo, secondo i magistrati, facevano parte alcuni degli indagati dell’operazione della Dia di ieri a Trieste. Uno degli arrestati, Gennaro Celentano, come riporta Il Mattino, viene intercettato mentre dice a una delle vittime che si rifiuta di consegnare il denaro a Gaiatto, di essere il nipote di un capoclan dei Casalesi. Ma non è tutto. Secondo la ricostruzione della Procura di Trieste, ai creditori venivano mostrate la foto dei loro familiari. «Sappiamo tutto di voi, delle vostre famiglie… e io sono il nipote del boss…». Terrorizzate, dunque, le vittime avrebbero rinunciato al dovuto e ceduto beni mobili e immobili alle società di un presunto intermediario finanziario, che a sua volta girava tutto all’organizzazione criminale. Tutto parte dalla figura chiave di Gaiatto. Sembra che il presunto intermediario finanziario di Portogruaro avesse investito circa 12 milioni di euro provenienti da ambienti vicini al clan camorristico dei Casalesi. Lo stesso Gaiatto aveva realizzato un complesso sistema di investimenti di capitali utilizzando alcune società con sede in Croazia, Slovenia e Gran Bretagna. Il colonnello Moroso, della Direzione investigativa antimafia di Trieste, ha spiegato che «le attività delle società in Croazia lo vedevano sempre all’interno del trade finanziario. Dapprima Gaiatto aveva costruito uno staff di imprenditori italiani che volessero investire in Croazia. Si crea così un gruppo di persone che diversifica gli investimenti di quanto lui aveva truffato o promesso alla gente». Come lo fa? «Acquistando immobili per garantirsi la possibilità di ridare i soldi alla camorra». È in questo contesto che si inseriscono i soldi sporchi dei clan dei Casalesi. Fiutano l’affare, contattano l’intermediario finanziario veneto attraverso le famiglie che dal Veneto chiamano “a valle” e affidano i 12 milioni di euro da investire. Il colonnello Moroso ha dichiarato che «queste persone chiamano e dicono che non solo Gaiatto dava gli interessi ma anche ritornava i soldi a quel punto puliti». Niente di strano fino a qui, se non fosse che nei primi mesi del 2018 accolgono la denuncia di un commercialista di Pola al quale si sommano le istanze di altri creditori che volevano rientrare in possesso delle somme destinate a Gaiatto che nel frattempo non se la passa molto bene. Le autorità croate passano così al contrattacco e, sulla base delle denunce acquisite, iniziano a pignorare i conti correnti delle società dell’imprenditore di Portogruaro e, contestualmente, li bloccano. Gaiatto in questo modo non ha più possibilità di rientrare in possesso del capitale che il clan dei Casalesi aveva a lui affidato per effettuare gli investimenti. La camorra vuole che i soldi tornino in suo possesso ed è così che affidano ai sei arrestati il compito di eseguire il lavoro sporco. «Non arriva l’amico della camorra che abita al nord – ha commentato il colonnello Moroso – ma arriva la squadra da giù». Il primo viaggio verso il nordest è datato febbraio di quest’anno. Arrivano con intenzioni decise ma non se la prendono con Gaiatto, bensì lo utilizzano come “chiavistello” per aprire le casseforti dell’illegalità. Due persone arrestate vengono posizionate a casa dell’intermediario finanziario «garantendogli una sorta di protezione» da altri creditori, esasperati nel frattempo per la perdita del capitale investito. «A presidiare la casa di Gaiatto era solito essere Cozzolino», ha precisato il procuratore capo di Trieste Carlo Mastelloni. Il “commando” composto da più persone invece lo accompagnava negli spostamenti. All’ombra dell’arena di Pola si consumano alcuni atti volti ad estorcere, nei confronti di professionisti italiani e croati, non solo denaro, ma anche assicurazioni scritte che nessuno di loro avrebbe vantato crediti nei confronti di Gaiatto. Questo per arginare interferenze esterne nell’operazione di riscossione dei soldi che la “mala” aveva investito. Per persuadere i creditori del Gaiatto a rinunciare, i sei arrestati costringevano le vittime a cedere beni mobili e immobili del valore di svariati milioni di euro, «nonché a fare consistenti prestiti che poi avrebbero dovuto far confluire sul conto di società del faccendiere» di Portogruaro. In alcune occasioni sono stati utilizzati metodi mafiosi e «espressioni lessicali di stampo camorristico». Ad un uomo avrebbero fatto vedere le foto dei suoi familiari, mentre lo stesso era a cena in compagnia di un’altra persona, proferendo nei suoi confronti una frase di minacce: «Sei un morto che cammina». Risultano essere circa 3000 le persone coinvolte nelle “manovre” di Gaiatto. L’importo in questione è di svariate decine di milioni di euro. «Se fosse andato tutto bene probabilmente l’intermediario finanziario faceva rientrare la camorra dei soldi che aveva investito». Ma qualcosa è andato storto. La giustizia ha messo a segno un colpo alla criminalità organizzata targata Casal di Principe. Quello di oggi è il primo passo di un’indagine che andrà avanti anche nei prossimi mesi. Dalle dichiarazioni emerse in conferenza stampa tutto ciò che ha a che fare con le attività in Croazia verrà approfondito e nel frattempo gli inquirenti stanno acquisendo la documentazione bancaria. Nessun sviluppo della vicenda è al momento escluso. Nell’operazione “Piano B” sono state impiegate circa 100 persone. «Le indagini – ha aggiunto il procuratore Mastelloni – sono andate avanti per più mesi e tutto ciò ci consente una mappatura che ci fa parlare neanche più di infiltrazioni, ma di insediamenti insidiosi del clan dei Casalesi. Questo è un caso evidente di insediamento di uno dei clan più agguerriti della storia della camorra».
INTERNAPOLI
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