martedì 29 gennaio 2019
SEZ. DISABILITA NEWS La violenza psicologica e le donne con disabilità
INSERITO DA ANGELINA CECERE «È stata una giornata ricca di contenuti e spunti di riflessione, nel nome della difesa della dignità delle donne con disabilità, che non devono essere considerate puramente come soggetti bisognosi di assistenza, ma come patrimonio culturale aggiunto dell’intera società»: lo ha dichiarato Nicola Stilla, presidente della FAND Lombardia (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), durante il convegno di Milano intitolato “Rompiamo il muro del silenzio: insieme alle donne con disabilità contro la violenza psicologica”, evento organizzato dalla stessa FAND Lombardia Particolare di viso femminile, con espressione di profondo sconfortoCome avevamo segnalato in sede di presentazione, si è svolto nell’àmbito delle varie iniziative promosse in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il convegno all’Istituto dei Ciechi di Milano, intitolato Rompiamo il muro del silenzio: insieme alle donne con disabilità contro la violenza psicologica, evento organizzato dalla FAND Lombardia (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità). Durante le due previste sessioni di lavoro, è stata offerta l’occasione «di riflettere su un tema cruciale e delicato – come sottolineano i promotori – che purtroppo non viene sovente affrontato a causa di preconcetti e di una visione totalmente errata, secondo la quale la donna con disabilità è priva di aspirazioni personali, capacità di decidere e di conseguenza va trattata solo come “oggetto” da assistere. Troppo spesso, infatti, è la stessa vittima a non riconoscere come “violenza psicologica” tutti quei comportamenti spesso assunti proprio da chi dovrebbe assisterla. E le statistiche dicono che, pur non lasciando segni tangibili come quella fisica, la violenza psicologica è in grado di infliggere ferite altrettanto profonde, che arrivano ad annientare la personalità della vittima». «Il titolo scelto per questo convegno – ha dichiarato Nicola Stilla, presidente della FAND Lombardia – è stato fortemente voluto e condiviso dalle Associazioni aderenti alla nostra Federazione*, perché ha in sé un forte significato. Il muro che va abbattuto, infatti, è quello del silenzio che impedisce alla vittima di parlare e rivendicare i propri diritti, nonché il silenzio dell’ambiente familiare e sociale in cui questa vive; accade troppo spesso che familiari, amici, colleghi e vicini di casa, per quieto vivere, preferiscano tacere piuttosto che condividere e denunciare episodi reiterati di violenza, che costituiscono veri e propri reati perseguibili dalla legge». In apertura dell’incontro, Erica Monteneri, coordinatrice della Commissione Regionale Pari Opportunità dell’UICI Lombardia (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), ha sottolineato come, «diversamente da quanto spesso si è portati a pensare, nella maggior parte dei casi la violenza non è perpetrata da sconosciuti. È nell’àmbito familiare, infatti, che avvengono i casi più numerosi di violenza, sia di genitori nei confronti delle figlie, sia di figli adulti nei confronti di donne anziane, sia di partner nei confronti delle compagne, sia di caregiver professionisti». «Prendendo in esame il rapporto di coppia – ha proseguito Monteneri -, si può affermare che l’evoluzione della prassi di violenza presenta atteggiamenti costanti: dapprima l’elemento dominante isola la compagna impedendole relazioni con l’esterno e controllando ogni sua mossa, quindi il predominio viene esercitato nei dialoghi quotidiani, così da impedirle di esprimere le sue ragioni e ingenerando in quest’ultima la convinzione di essere incapace, stupida e “sbagliata”, con il chiaro intento di suscitare in lei sensi di incertezza e di colpa. Dalle critiche si passa poi al disprezzo vero e proprio, fatto di offese, minacce, ricatti e accuse infondate. Tutto questo è indice di un livello di violenza che, progressivamente, diventa drammaticamente elevato e porta al lento annullamento della vittima». Come emerso dalla relazione presentata da Stefano Bissaro della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano, oltre che moralmente deprecabile, «la violenza psicologica nei confronti della donna con disabilità costituisce una vera e propria discriminazione, che ne lede la dignità. Tale discriminazione si fonda sull’incrocio di due fattori di fragilità (il genere femminile e la disabilità), che rendono l’impatto del comportamento discriminatorio ancor più destabilizzante. La Costituzione Italiana all’articolo 38, come confermato dall’interpretazione della Suprema Corte, sancisce il diritto della persona con disabilità all’assistenza di cui ha bisogno per poter essere inclusa a pieno titolo nella società». Al di là tuttavia delle stesse garanzie assicurate dal Legislatore, quel che è emerso con chiarezza dal convegno di Milano è la necessità di un vero e proprio “scatto culturale”, che porti a considerare la donna con disabilità non per la patologia dalla quale è affetta, ma in primo luogo come persona. Gli stessi centri antiviolenza e le case-rifugio per donne maltrattate, è stato sottolineato a più voci, troppo raramente sono accessibili a donne con disabilità e se ne è avuta una conferma diretta anche grazie alla testimonianza di una giovane con disabilità visiva, che al termine dei propri studi di scuola superiore ha trovato la forza di denunciare le violenze psicologiche subite in famiglia e dopo un’attesa lunga un anno, grazie al supporto degli operatori dell’UICI, ha trovare posto in una casa-rifugio, dove però si è dovuta confrontare con una realtà non preparata ad accogliere una donna con disabilità visiva. «Le nostre associazioni – ha ricordato ancora Monteneri – organizzano sportelli di ascolto con operatori che possono aiutare le donne a prendere coscienza dei propri diritti ed a capire che i loro partner o caregiver hanno superato la linea di confine tra cura ed abuso psicologico. Occorre però anche che gli operatori stessi siano formati e in collegamento diretto con i centri antiviolenza, così da poter accompagnare le donne nel lungo e faticoso cammino verso il recupero della propria autonomia. Pertanto il primo obiettivo da perseguire è dare informazioni alle donne circa i loro diritti, in modo che non accettino passivamente, ma combattano ogni forma di violenza psicologica, fornendo loro ogni tipo di conoscenza riguardo ai servizi telefonici antiviolenza o ai centri antiviolenza operanti sul territorio. Il secondo grande obiettivo, invece, è ottenere dalle Istituzioni che alle donne con disabilità sensoriali (anche plurime) siano rese pienamente accessibili le case-rifugio e gli ambulatori in cui dovrebbe operare personale appositamente formato per accoglierle (psicologi, personale medico, assistenti sociali, interpreti della Lingua dei Segni ed esperti in grado di assistere le donne con disabilità visiva) e che ad esse venga garantito pieno sostegno durante l’intero iter processuale. Siamo consapevoli che non sarà una sfida facile da vincere, ma il primo passo da compiere è sicuramente mettere in rete tutte le migliori competenze presenti all’interno delle nostre Associazioni. Sarà un percorso lungo e faticoso, ma necessario per adempiere pienamente al compito morale delle nostre organizzazioni , che dovrebbero avere dei rappresentanti nei tavoli di confronto regionali e nazionali sulla violenza di genere». Tra i vari interventi della giornata, da segnalare anche quelli di Marilena La Fratta dell’Assessorato alle Politiche per la Famiglia, la Genitorialità e le Pari Opportunità della Regione Lombardia, che ha illustrato i vari servizi in essere e le carenze da colmare. E ancora, hanno partecipato Antonella Faieta, avvocato responsabile dell’Ufficio Legale di Telefono Rosa, le psicologhe Nadia Muscialini, fondatrice del Soccorso Rosa e Mita Rendiniello del Centro Antiviolenza SVSeD (Soccorso Violenza Sessuale e Domestica) dell’Ospedale Mangiagalli di Milano, affiancata da Salvatore Triolo, Agatina Vitanza della Lega del Filo d’Oro, Antinea Pezzè e Anna Zinelli della Casa-Rifugio Daphne «È stata una giornata ricca di contenuti e spunti di riflessione – ha commentato in conclusione Stilla – nel nome della difesa della dignità delle donne con disabilità, che non devono essere considerate puramente come soggetti bisognosi di assistenza, ma come patrimonio culturale aggiunto dell’intera società». (S.B.)
SUPERANDO
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